Intervista a Gino Roncaglia

gino roncaglia

Di Pasquale Popolizio
In occasione dell’uscita della nuova edizione del suo L’età della frammentazionedisponibile dalla prossima settimana sia in stampa che in digitale con nuovi contenuti ed integrazioni, ho intervistato Gino Roncaglia, filosofo e saggista, di sicuro una delle figure più importanti e rappresentative del mondo della didattica e della Rete.

Nella nuova edizione de ‘L’età della frammentazione’, poni, fra gli obiettivi, una riflessione che reputo di importanza decisiva, se “ripensare radicalmente spazi e formati dell’insegnamento e dell’apprendimento, puo’ aiutarci e come – a immaginare la scuola di domani, e magari a renderla più moderna, efficace e inclusiva”.

Sì, l’emergenza COVID è stata una situazione non prevedibile e che non era certo desiderabile, ma è stata anche un’occasione per renderci tutti conto dell’enorme importanza sociale dell’istituzione scolastica. Una presa di coscienza collettiva che però si dovrebbe associare anche – e non sempre si associa – alla consapevolezza del fatto che la scuola non è e non può essere una sorta di scatola chiusa legata alla ripetizione di riti immutabili nel tempo: la scuola è fatta di persone, di spazi, di strumenti, di metodologie, di relazioni che cambiano nel tempo, anche indipendentemente dall’emergenza che stiamo attraversando. L’emergenza ci ha portato a ripensare l’organizzazione degli spazi e dei tempi, l’uso delle tecnologie (che la scuola ha sempre utilizzato: sono tecnologie – e tecnologie in evoluzione – la lavagna, la penna, il quaderno, il libro, non solo il computer e le reti…), le relazioni fra i vari attori (non esiste solo il gruppo classe). Nell’immediato, questo ripensamento ha condizionamenti esterni molto forti: la scuola dell’emergenza non può essere la scuola del futuro. Ma nel contempo ci impone un cambiamento che, se pensato anche in prospettiva e non solo in termini emergenziali, può avere anche una funzione positiva.

 

Introduci anche il concetto di “didattica di emergenza” per meglio definire la didattica che abbiamo visto in opera negli ultimi mesi, con l’emersione e l’evidenziazione di due grandi problemi della nostra società, le diseguaglianze e la scarsa inclusività che non possono essere addebitate alla didattica.

C’è stata in questo periodo un’enorme confusione fra didattica a distanza e didattica di emergenza, che ha portato a contrapporre artificialmente lavoro in presenza e lavoro on-line (la didattica on-line nell’ambito scolastico dovrebbe essere ovviamente integrativa, non sostitutiva) e a volte quasi a demonizzare la didattica on-line. È bene quindi sottolineare sempre che quella che abbiamo fatto durante il lockdown non è stata una didattica a distanza consapevole e progettata ma una didattica di emergenza, con molti limiti e condizionamenti, in parte inevitabili (e che del resto si sono riscontrati in tutti i paesi industrializzati, non solo in Italia). Abbiamo auspicabilmente acquisito una maggiore consapevolezza sull’importanza delle competenze digitali e dell’accesso alla rete – che costituiscono ormai fattori imprescindibili di cittadinanza attiva – e sul peso che hanno le diseguaglianze anche in quest’ambito. Sono fattori sui quali si può influire, con politiche e investimenti specifici: sia per affrontare meglio la fase ancora emergenziale che ci aspetta, sia per progettare una scuola futura pensata per le esigenze del XXI° secolo e non per quelle del XX° (se non del XIX°…)

 

Metodo, organizzazione, competenze, strumenti, tempi, spazi, tecnologie: la tua disamina dei fattori necessari ad una scuola giusta e efficace ci permettono di guardare con ragionevolezza e speranza alla scuola del prossimo futuro.

La ragionevolezza è, credo, un fattore essenziale che viene spesso dimenticato nelle guerre di religione fra opposti schieramenti: ci si dimentica troppo spesso che i problemi che affrontiamo in Italia (nell’emergenza e fuori dall’emergenza) sono gli stessi affrontati nel resto d’Europa e in tanti altri paesi industrializzati, che su limiti, vantaggi, metodologie, risultati dell’uso delle tecnologie digitali e di rete nella didattica c’è da anni una letteratura assai ampia, che ci sono realtà che lavorano da tempo su modelli e buone pratiche assai spesso replicabili. In questi anni mi sono occupato molto del rapporto fra strumenti digitali e di rete e promozione del libro e della lettura: nell’opinione comune sembrano due campi lontanissimi, quasi agli antipodi, e invece si integrano benissimo e possono rafforzarsi a vicenda: basta rendersene conto, studiare le esperienze fatte, integrare biblioteca scolastica e centro di documentazione e alfabetizzazione informativa. E forse conoscere un po’ meglio l’ecosistema comunicativo delle giovani generazioni, che negli ultimi anni è molto cambiato e non è più quello delle generazioni precedenti. Non possiamo far finta che questi cambiamenti non esistano: negarne la realtà e la portata vuol dire organizzare una suola incapace di formare efficacemente i cittadini di oggi e di domani.

 

Negli ultimi mesi anche la TV ha fatto la sua parte, specialmente in Italia con programmi come Scuola@Casa e Scuola@Casa News, che hai curato per RAI Cultura. 

La televisione educativa ha mostrato di avere ancora un ruolo, a patto di svecchiare i format e di collegarsi direttamente anche agli strumenti di rete. È quello che abbiamo cercato di fare a RAI Cultura. Non è stato facile, perché la richiesta principale che arrivava era quella di moltiplicare le ‘lezioni frontali’ televisive: un format che è stato certo importante in passato, ma che è ormai superato. Anche i contenuti televisivi vanno ormai pensati per una fruizione on-demand, per l’integrazione con le piattaforme didattiche, per usi che prevedano anche forme di interattività. È un campo nel quale c’è molto lavoro da fare, e sul quale bisognerà continuare a lavorare anche in futuro.

Nel tuo ultimo lavoro, che consiglio davvero di leggere a tutti i professionisti, ai docenti, ma anche ai legislatori e ai genitori, delinei quattro tesi sulle quali lavorare. Qui mi piace riprendere una frase: “Abbiamo bisogno, più che mai, della cultura del libro: non solo come eredità del passato, ma anche come strumento per immaginare e costruire un futuro migliore.”

La caratteristica fondamentale della cultura del libro è il rapporto con la complessità: il libro è da secoli lo strumento che usiamo per organizzare e trasmettere contenuti complessi e articolati. Credo sia onesto riconoscere che la rete, pur nell’enorme ricchezza e varietà di contenuti offerti, è ancora assai giovane e propone prevalentemente contenuti brevi e frammentati. Brevità e frammentazione non sono però caratteristiche essenziali e costitutive del mondo digitale: è possibile e auspicabile una maggiore capacità di costruire anche in digitale e in rete contenuti complessi, articolati, sofisticati. Questo ‘bisogno di complessità’ e di competenze legate alla complessità è forse il più importante bisogno educativo trasversale al quale la scuola e l’università devono oggi rispondere. Per farlo al meglio occorre superare l’artificiale contrapposizione fra cultura del libro e culture di rete, e rendersi conto che abbiamo ancora molto da imparare dai libri e dalla forma libro. Che incontrandosi con il digitale si evolve, acquista nuove potenzialità (multicodicalità, interattività…) ma conservando la sua caratteristica essenziale: appunto la capacità di organizzazione complessa e strutturata dei contenuti. Su questo bisogna lavorare molto, anche per preparare i libri di testo, i contenuti e gli ambienti di apprendimento di domani.

Intervista a cura di Pasquale Popolizio.

La foto di Gino Roncaglia è ripresa da https://www.flickr.com/photos/roncaglia/14117410734/in/album-72157623902763405/

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