D.A.D. & SmartWorking, due facce della stessa medaglia?

valentina sapuppo

Di Valentina Sapuppo

Giurista, esperta del mondo digitale, della protezione dei dati biometrici con specializzazione in etica dell’informazione.

I disagi causati dall’emergenza epidemiologica Covid-19 sono molteplici ed i settori più delicati su cui questi hanno inciso più profondamente sono stati quello lavorativo e quello scolastico.

In fretta e furia ci si è dovuti sperimentare proprio per non bloccare queste due attività fondamentali, costituzionalmente garantite e tutelate, e abbiamo sentito, forse, per la prima volta parlare di Smart Working e di DAD – Didattica a distanza.

Per quanto usare certe definizioni possa sembrare più al passo coi tempi, vedremo, in queste poche battute, che dare il giusto nome alle cose comporta conseguenze ben più rilevanti di ciò che potrebbe sembrare.

Lo Smart Working, in realtà, poco si presta ad identificare l’inquadramento della classe docenti, sia essa pubblica che privata, i quali rientrano nella categoria di lavoratori dipendenti.

Infatti, ciò che caratterizza il vero smart working, altro non è che una filosofia manageriale, sulla scorta della quale l’operatore vive e intende il proprio lavoro attraverso un approccio innovativo, denotante i tratti dell’autonomia, della flessibilità e della responsabilizzazione in punto di luoghi, tempi e strumenti volti a responsabilizzarlo e a gratificare i risultati prodotti in chiave meritocratica.

Ciò che da vita a questo uso errato del termine trae le sue origini da un ampio scenario regolamentare dislocato in una moltitudine di fonti normative già risalenti nel tempo e che invero riguardano il c.d. lavoro a distanza nelle sue due forme di telelavoro e di lavoro agile.

Senza voler essere troppo noiosi con tecnicismi giuridici[1], proviamo a dare qualche definizione prêt-à-porter.

Con la Legge 191/1998, meglio nota come Bassanini-ter, riscontriamo una prima definizione positiva di telelavoro, inteso come una delle normali forme flessibili di impiego per la pubblica amministrazione grazie alla quale il dipendente di una pubblica amministrazione poteva svolgere la propria prestazione di lavoro fuori dalla sede di lavoro, e cioè in qualsiasi luogo tecnicamente idoneo in tal senso, attraverso un videoterminale.

Da questa disciplina trae le sue origini la DAD. Questa, però, nel lontano 2002 veniva intesa, dai CCNL di riferimento, come didattica da remoto domiciliare straordinaria, realizzata tramite l’uso delle tecnologie informatiche e telematiche ed organizzata tramite modelli didattici appositi, volti a favorire la comunicazione e la progettualità interdisciplinare.

Chiaramente gli anni ’90 segnano il pieno ingresso delle ICT e di Internet, situazione questa che ha agevolato molto la contrattazione collettiva ad ottenere risultati volti alla conciliazione vita-lavoro[2]fine ultimo propulsato anche dall’Unione Europea nella strategia di Lisbona per l’innovazione tecnologica e per lo sviluppo e la modernizzazione della società, dell’organizzazione del lavoro e delle c.d. flexibility flexcurity.

Nell’introdurre il lavoro agile, il nostro legislatore con la L. 81/2017 oltrepassa la struttura e il vero scopo del telelavoro. A distanza di quasi vent’anni, infatti, dimostra un’apertura verso forme organizzative di lavoro subordinato strutturate su base contrattuale – c.d. patto di lavoro agile individuale – per per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro e con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Va da sé che con il Decreto “Cura Italia”[3] il legislatore, per ottemperare e tamponare i disagi causati dal Covid-19, ha attinto da discipline derivanti da fonti distinte e già esistenti e le ha mixate per bene, rendendo obbligatorie e generalizzate delle modalità di lavoro meramente accessorie al contratto base, prima intese come situazioni di lavoro straordinario o come un vero e proprio diritto riconosciuto a particolari soggetti che volessero accedervi facendone richiesta, pensiamo ad esempio alle lavoratrici in congedo di maternità.

Allo scopo di evitare il diffondersi dei contagi, infatti, soprattutto nei comuni o nelle aree nei quali questi erano più intensi, ha sì disposto la sospensione/interruzione delle attività lavorative e didattiche in sede ma non di quelle che potessero essere svolte anche a distanza, così consentendo di poter operare attraverso la DAD.

In tal modo, però, si è finito per sovrapporre logiche e concetti di natura e scopo diverso, sovrapposizione che ha creato tanta confusione in punto di inquadramento giuslaburistico, di individuazione di diritti, meccanismi di tutela e strumenti e che ci ha portati qui oggi a cercare di fare un po’ di luce e chiarire il perchè le DAD e lo Smart Working non sono due facce della stessa medaglia.

[1] Per una più approfondita disamina sul punto Sapuppo, V., Smart working in Italia? No. Il labile confine tra telelavoro e lavoro agile, in Salvis Juribus, 2020

[2] Il CCNL del Comparto Scuola del 2006

[3] D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

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