Diritto alla disconnessione: utopia o certezza normativa

smart working

Punti fermi e nuovi spunti per il legislatore italiano.

Di Alessandro PicaroneValentina Sapuppo

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Introduzione

L’enorme portata innovativa della digitalizzazione in tanti ambiti della vita quotidiana, anche se ancora non del tutto ancora compiuta, è evidente. Questa può incidere profondamente anche nell’ambito del lavoro da remoto, seguendo due parole chiave: flessibilità e autonomia.

Il confinamento obbligatorio, resosi necessario per contenere la diffusione del virus pandemico del Covid-19, ha costretto circa 8 milioni di lavoratori a lavorare da casa: tra questi, la classe docenti che ha dovuto reinventare la Didattica a Distanza (la DAD).

Tutto ciò ha fatto emergere le criticità di ciò che significa svolgere uno «Smart Working emergenziale». Per questo motivo, oggi sentiamo tanto parlare della necessità che dall’alto si prenda una posizione ferma nel definire e riconoscere il Diritto alla Disconnessione.

Risulta fondamentale che, soprattutto in ambito comunitario, si adotti una linea definitoria univoca che consenta la realizzazione di uno spazio di applicazione comune ed uniforme ai principi generali che tutelano i diritti del lavoratore. Ciò permetterebbe sia di valorizzare le differenze, tipiche delle tante realtà lavorative – comunitarie e non – senza che si dia spazio a diversificazioni ingiustificate, sia di sviluppare – e applicare in modo corretto – le singole normative nazionali di dettaglio e, eventualmente, rendere possibile ed utile quella saggia gestione del lavoro a distanza, foriera di una innovazione sociale senza confronti. L’assenza di quanto sin qui esplicato, infatti, pone un accento importante sui rischi per la salute che, come vedremo, possono essere diversi e insidiosi per la categoria dei lavoratori smart che, in questo senso, potrebbero dimostrarsi l’anello più debole della catena.

 

Definizione Diritto alla Disconnessione

Il Diritto alla disconnessione, così come definito nella recente risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021, consiste nel «mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro».

Tale diritto ha, in sintesi, due macro-finalità: da un lato, vuole tutelare il work-life balance – e, più in generale, tendere ad un corretto sviluppo della personalità del lavoratore – e, d’altro lato, la tutela del diritto alla salute. I due campi sono senza dubbio collegati, in quanto la possibilità di essere perennemente reperibili pone lo smart worker in una condizione di stress, lesivo per la sua salute psico-fisica: difatti, il datore di lavoro, se non dimostra di essere, a sua volta, smart, rischia di interferire con la vita di relazione dei suoi dipendenti. Questi ultimi, per non sentirsi ulteriormente sminuiti agli occhi dei propri capi, o dei propri colleghi, potrebbero soffrire del c.d. burn-out, ossia patire le conseguenze dello stress da lavoro-correlato: la possibilità di essere raggiunti in qualunque momento e in qualsiasi luogo espone i lavoratori ad un sovraccarico di lavoro e di informazioni. Tale fenomeno è stato definito Always On Culture ed è accentuato da queste modalità di lavoro a distanza arrangiate.

 

Motivi di esigenza di riconoscimento e disciplina

Il fatto che la digitalizzazione abbia imposto ai cittadini del mondo la c.d. Always Online Culture rende necessario predisporre una disciplina comune europea che stabilisca i requisiti minimi per l’accesso al lavoro a distanza, così da fondare, di conseguenza, la necessaria presenza di un diritto alla disconnessione dagli strumenti al di fuori dell’orario di lavoro.

La finalità ultima che si vuole perseguire con tale riconoscimento normativo è quella di ostacolare la nascita di tutti quei fenomeni potenzialmente dannosi, come la time porosity, l’iperconnessione e da ultimo, sebbene non meno importante, la no-mobile-phone-phobia. In sintesi, risulta di fondamentale importanza tutelare il lavoratore, da trattamenti sfavorevoli o dal rischio di licenziamento, se e quando esercita questo diritto inviolabile che «costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale». Nonostante la recente attenzione globale allo Smart Working, in Francia, già dal 2016 con la Loi travail, il diritto alla disconnessione era stato inteso quale diritto a tutela della vita privata del cittadino. In Germania è definito Feierabend, termine che, tradotto letteralmente, significa, staccare la spina alla fine della giornata lavorativa. In Italia, nonostante i lavori preparatori della legge sul lavoro agile lo avessero inteso quale «diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro […] », la formulazione definitiva della Legge 81 del 2017 rimanda al patto di lavoro agile, quale contrattazione privata e volontaria che consenta l’attivazione delle modalità alternative e distinte al lavoro On Side Based, rimettendo tale scelta, modale e definitoria, alle parti di un rapporto di lavoro subordinato che possa essere svolto anche in modalità agile.

 

Lo Smart Working in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, affinché il legislatore possa pienamente disciplinare ciò che abbiamo indicato sopra come diritto alla disconnessione, risulta di fondamentale importanza comprendere a quali fattispecie di lavoro da remoto tale diritto debba essere riconosciuto.

Nel nostro paese, il lavoro a distanza vede una disciplina frammentata e multiforme. Partendo dal Telelavoro, si giunge alla più recente normativa sul Lavoro Agile. In entrambe, il legislatore si è preoccupato di dare una mera definizione che, per sommi capi, fa riferimento alla possibilità di svolgere, laddove possibile, le proprie mansioni lavorative al di fuori della classica sede centrale, con il supporto della strumentazione ICT.

Il Problema Definitorio è dato proprio dal fatto che non ci si è preoccupati di intendere lo Smart Working così come avrebbe dovuto essere inteso. Infatti, mentre per il telelavoro ci si era concentrati sul dipendente pubblico, lasciando spazio alla contrattazione collettiva per la regolamentazione di queste forme volontarie di lavoro dipendente privato alternative, il lavoro agile è inteso come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.

Sembra, in effetti, che quest’ultima definizione realizzi – letteralmente – una fusione delle definizioni di smart working e di remote working. Il risultato è una definizione incerta, difficile da considerare corretta, che unisce – sotto la stessa etichetta – sia il lavoro in modalità smart, inteso quale lavoro autonomo svolto volontariamente a distanza, sia il lavoro subordinato realizzato in modalità telelavoro mobile a collegamento alternato.

 

Confusione: quale normativa applicare?

Il problema definitorio ha lasciato dietro di sé solo una grande confusione che fa si che il legislatore cada in continue trappole terminologiche.  Non si comprende come e quando si debba immaginare di prevedere questo diritto alla disconnessione, posto che si parla, anche a livello europeo, di riconoscerne la presenza ora nel lavoro da remoto, ora negli accordi di telelavoro previsti dai CCNL nazionali, ora nella contrattazione privata di lavoro agile.

Quando, dunque, possiamo riconoscere come soddisfatte le condizioni  normative per configurare la presenza di un di diritto a disconnettersi?

Se intendiamo lo Smart Working, così come inteso tout court, dovremmo giungere alla conclusione che questo non è un terreno che consenta di disquisire sulla presenza o meno di un diritto alla disconnessione. Come sopra accennato, lo smart worker vive quella filosofia manageriale che si propone di attuare un approccio innovativo all’organizzazione self made man, con la quale si restituisce al lavoratore autonomia e flessibilità riguardo a luoghi, tempi e strumenti di lavoro, responsabilizzandolo al conseguimento di obiettivi cui parametrare la propria remunerazione e quella soddisfazione meritocratica in punto di crescita di carriera. Lo Smart Working, pertanto, comporta un atteggiamento radicalmente diverso rispetto al modo di intendere il lavoro, i lavoratori e la gestione degli spazi e dei tempi diversi da quelli svolti in azienda e, per tali motivi, è considerato la «quarta rivoluzione industriale».

 

Conclusioni

Una corretta applicazione del diritto alla disconnessione, e in generale dello Smart Working, implica una totale ridefinizione dei modelli organizzativi aziendali finora utilizzati nella gestione del personale e delle risorse.

In primo luogo, va rivisto il vincolo spaziale del luogo di lavoro, in considerazione del fatto che ognuno può lavorare da un posto diverso da quello classicamente inteso: questo tipo di cambiamento pone «alla base un patto di fiducia, una distribuzione della responsabilità e la capacità di riconoscere il merito e l’impegno del lavoro subordinato».

In secondo luogo, non vanno minimamente sottovalutate le implicazioni sociali conseguenti allo Smart Working: se è vero, ed è vero, che le relazioni sociali, si svolgono con un determinante contributo della Rete, progettare e realizzare un corretto work-life balance risulta determinante ai fini di una vita lavorativa – e personale – sana e compiuta.

Nel corso di questo breve saggio, abbiamo visto come il sovraccarico da stress può non soltanto comprimere una corretta vita di relazione, ma anche ledere il diritto alla salute, costituzionalmente tutelato. È assodato ormai che i nuovi modelli lavorativi non possono fare a meno della tecnologia, e conseguentemente di nuove impostazioni e strutture, così da ottenere e realizzare maggiori tutele per il lavoratore, che non devono mai mancare.

Infine, e proprio per tutto quanto finora sostenuto, è necessario definire chiaramente il perimetro del diritto ad una connessione selettiva, meglio ancora se delimitata a livello comunitario, senza lacune o, peggio, contraddizioni.

Un secondo, e forse più complicato, step, deve tener conto delle peculiarità dei rispettivi sistemi produttivi nazionali, per aggiungere tutele ai lavoratori, a seconda della mansione che svolgono.  Solo in questo modo, si può continuare ad innovare lontano dagli escamotage concessi ai datori di lavoro con lo Smart Working emergenziale e, più in generale, in modo costituzionalmente orientato.

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